Diga del Vajont: 7 anni, 4 minuti, 2000 morti
9 Ottobre 1963, Valle del Vajont.
Il disastro della diga del Vajont, avvenuto il 9 ottobre 1963, è una delle tragedie più sconvolgenti della storia italiana. Non solo per la sua devastante portata, ma anche per la scandalosa complicità di chi avrebbe dovuto proteggere la vita dei cittadini.
Il 9 Ottobre del 1963, dal Monte Toc, qui, sul fianco sinistro della Valle del Vajont, si stacca una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia. Piomba nel lago dietro la diga del Vajont e solleva un’onda di “solo” 50 milioni di metri cubi d’acqua, che solo per metà passa dall’altra parte della diga. Ma è più che sufficiente per spazzare via dalla faccia della Terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Codissago, Fae, 2000 i morti.
La storia della diga del Vajont, iniziata sette anni prima, conclude in quattro minuti di apocalisse, con l’olocausto di 2000 vittime.
Marco Paolini, Teatro memoria 09/10/1997.
Le origini e la realizzazione del progetto
L’idea della diga del Vajont era stata avanzata per la prima volta negli anni 20 del secolo scorso. Con l’industrializzazione dell’Italia, cresceva, sempre più, la necessità di energia elettrica; un modo per soddisfare quell’esigenza era la costruzione di una diga idroelettrica.
Il primo passo fu quello di identificarne il luogo adatto: la sezione stretta della Valle del fiume del Vajont, vicino alla base del Monte Toc, era considerata perfetta.
Le prime indagini geologiche, effettuate dalla S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità), responsabile anche della costruzione della diga, stabilirono che la montagna era solida per consentirne la costruzione. I lavori iniziarono nel 1957, ma incontrarono diversi imprevisti…
Infatti, i lavori di costruzione delle strade che conducevano alla diga, furono ostacolati da diversi smottamenti del terreno; i pendii del Monte Toc iniziarono a franare.
La S.A.D.E., quindi, interpellò alcuni geologi indipendenti: le loro valutazioni indicarono l’instabilità del Monte Toc. Tutto ciò divenne evidente quando, nella vicina diga di Pontesei, una frana creò un’onda enorme nel 1959.
La friabilità del Monte Toc, tuttavia, era già memoria storica di tutti i residenti; alcuni di loro, infatti, lo soprannominavano “la montagna che cammina“…
Ciononostante, la S.A.D.E. era contraria a ridimensionare o abbandonare il progetto. I loro studi, opposti a quelli forniti da esperti indipendenti, erano sicuri. A novembre del 1960 la costruzione della diga era quasi completata e la S.A.D.E. iniziò l’invaso del bacino idroelettrico.

Una comunità in allarme
In seguito all’innalzamento del livello dell’acqua, iniziarono i primi segnali d’allarme; alberi divelti, smottamenti, crepe negli edifici e macchie giallastre nel lago. Il Monte Toc iniziò a muoversi e si verificò la prima frana. Terra e roccia terminarono la corsa nel lago; l’evento, anche se di lieve entità, allarmò gli addetti ai lavori che iniziarono ulteriori studi.
Fu costruito un modello in scala della Valle del Vajont volto a simulare l’impatto sul lago di un’enorme frana. Condussero una serie di test concludendo che, anche in caso di evento catastrofico, la quota di sicurezza dell’invaso era di 700 metri s.m.l..
I giornalisti che raccontarono gli eventi, tra cui l’eroica Clementina Tina Merlin, furono citati in giudizio. L’accusa? Diffusione di notizie false atte a turbare l’ordine pubblico. Processata a Milano, venne assolta in formula piena in quanto il fatto non sussisteva.
Il suo ultimo grido inascoltato, prima della terribile tragedia, comparve sul quotidiano l’Unità il 21 Febbraio 1961.
«Mentre si lascia alla S.A.D.E. la possibilità di sottrarsi agli obblighi di legge, un’enorme massa di 50 milioni di metri cubi minaccia la vita e gli averi degli abitanti di Erto. Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con un terribile schianto».
Tratto da un articolo di Tina Merlin, 21 Febbraio 1961
A Settembre 1963 la frana era imminente; un’enorme massa di terra era in movimento.
Sul Monte Toc era ormai ben visibile una lunga fenditura nel terreno a forma di M, formatasi nel 1960 ed estesa per quasi 2km e mezzo. Nonostante l’evidente pericolo, la S.A.D.E. iniziò il collaudo della diga, ovvero innalzare il livello del lago a quota 715 m/s.l.m. Aumentarono le scosse sismiche, i cedimenti del suolo e le lesioni agli edifici, costringendo gli addetti ai lavori a interrompere il collaudo a quota 712 m/s.m.l. e iniziare lo svaso.
9 Ottobre 1963, ore 22:39.
Un silenzio feroce… e la frana è ancora là, su un piano inclinato. Non c’è niente che la tiene attaccata al resto della montagna, ma è lì, ferma. E poi va… 260 milioni di metri cubi di rocce… la frana del Vajont è partita lassù, 500/600 metri più in alto di dove siamo noi, su un costone di montagna che non si vede, lassù in alto. Un mondo intero fatto a M, che alle falde aveva stalle, una latteria, aveva case, una strada, campi coltivati, due torrenti, uno stagno, colline, boschi… Un mondo intero passa da 60 cm a 100 km/h, adesso.
E non lo fa in silenzio!
Marco Paolini, ore 22:39 – Teatro memoria 09/10/1997. LINK.

Rumore, acqua, fango e morte
Un blocco di terra delle dimensioni di una piccola città precipitò compatto nel lago in soli 45 secondi. L’impatto creò un’onda enorme che, come un treno in corsa, si diffuse in varie direzioni. Una parte, alta circa 250 metri, colpì una roccia dalla parte opposta della valle, sfiorando il paese di Casso. In seguito all’impatto si divise e scorse lungo la Valle del Vajont, sfiorò il centro del paese di Erto ma colpii le sue frazioni inferiori. Distrusse fattorie, campi coltivati, case, strade e numerosi insediamenti umani.
L’altra parte dell’onda superò la diga del Vajont; anch’essa alta circa 250 metri, si incanalò nella stretta gola della valle in direzione di Longarone. Mentre entrava nella stretta valle, l’onda spinse un muro d’aria con la forza di un uragano che si abbatté sull’abitato sottostante. Poi arrivò l’acqua. Un’onda di circa 70 metri che travolse tutto ciò che aveva davanti: alberi, edifici, strade e persone, lasciando dietro di sé una distesa di detriti, fango e morte.
I paesi di Longarone, Pirago, Rivalta, Codissago e Fae furono rasi al suolo. Il giorno seguente arrivò in soccorso l’Esercito Italiano che non poté fare altro che ricercare e, in alcuni casi, riconoscere e seppellire i morti. I corpi di tante persone non furono mai più ritrovati.
Indecenza istituzionale
In seguito al disastro, il governo italiano insistette a sostenere che la frana del Monte Toc fosse di origine naturale e inevitabile. La costruzione delle diga del Vajont in una posizione tanto sconsiderata e i numerosi eventi predittori vennero, da subito, ridimensionati o addirittura negati.
I sopravvissuti, trasferiti in altre località della regione, persero non solo le loro case, ma anche le loro comunità e i loro riferimenti sociali. Dopo anni, alcuni di loro scelsero di ritornare nella loro terra, dove un tempo sorgevano le loro case…
Erto vien ricostruito… solo perché un gruppo di testardi, a un certo punto, torna indietro; rioccupa le vecchie case, ruba la corrente all’Enel e riconquista il diritto di cominciare a costruire un paese dov’era prima! A non lasciare una valle che altrimenti, forse, avrebbe dovuto restare vuota, senza vita.
Marco Paolini, Teatro memoria 09/10/1997.
Molti anni dopo fu accertato che il disastro della diga del Vajont si trattò di un evento catastrofico che si sarebbe potuto evitare; perché non furono mai presi in considerazione gli innumerevoli allarmi, basati su prove incontrovertibili, lanciati dai residenti, da alcuni esperti, e soprattutto quelli di una tenace giornalista di nome Tina Merlin?
«La gente piange i suoi morti però, più di tutto, odia chi li ha uccisi».
Tratto da un intervista a Tina Merlin, pochi mesi dopo la frana. LINK.
Le responsabilità sono innumerevoli e coinvolsero non solo i progettisti dell’opera, ma anche le istituzioni. In particolare, la magistratura italiana; perché si dimostrò così colpevolmente inerme, chiudendo gli occhi sui gravissimi e palesi segnali di pericolo?
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
Perché con questa spada “vi uccido” quando voglio
Io non perdono. Non perdono e tocco!
Athos de La Fère
9MQ Web TV consiglia la visione del docufilm “Teatro Memoria” – Marco Paolini 09/10/1997.
